#tecnicismiortistoidi sulla sostanza organica – Parte 2

Eccoci di nuovo a parlare di questa sostanza brunastra che abita, spesso a nostra insaputa, il suolo che calpestiamo e che silenziosamente sostiene la vita sul nostro pianeta. Nel precedente approfondimento abbiamo visto la natura chimica di questa sostanza, come si genera e perché è importante per gli agroecosistemi, per il pianeta e per il nostro orto.

In questa parte vedremo invece più nel dettaglio come preservare la sua presenza nelle aiuole del nostro orto quindi le pratiche che sono da EVITARE e quelle invece CONSIGLIATE per favorire la sua presenza nel suolo.

COSA NON FARE

Partiamo con le LAVORAZIONI

Precedentemente abbiamo parlato di mineralizzazione ovvero quel processo che vede la trasformazione della sostanza organica in sostanza inorganica quindi minerale. Questo processo è utile e necessario perché garantisce una sufficiente presenza di elementi per la nutrizione delle piante, ma se avviene troppo velocemente la tendenza è quella di consumare più sostanza organica di quanta se ne produce, oltre a non utilizzare efficientemente i nutrienti per le piante che rischiano di venire lisciviati. Il tasso di mineralizzazione dipende da diversi fattori quali la tessitura del terreno (nei terreni sabbiosi è più rapida), la temperatura (a temperature elevate aumenta il tasso di mineralizzazione), l’umidità e dalla presenza di ossigeno (nei terreni sabbiosi l’ossigeno è abbondante). L’ossigeno infatti tende ad ossidare la sostanza organica favorendo la sua degradazione. Le lavorazioni del terreno hanno un’importante responsabilità in questo senso in quanto più lavoriamo il terreno anche in profondità e più lo arieggiamo favorendo la presenza dell’ossigeno. Arieggiare il terreno è una pratica fondamentale per garantire la salute e gli equilibri dei microrganismi presenti, ma se arieggiamo eccessivamente rischiamo di danneggiare la sostanza organica. Inoltre, durante lavorazioni come la vangatura tradizionale la tendenza è quella di rivoltare la zolla con conseguente interramento della sostanza organica in profondità ed emersione degli strati più inerti del suolo. Praticare lavorazioni minime, quindi non troppo profonde e non troppo spinte e limitando al minimo il rimescolamento dei profili del terreno (magari impiegando un vanga-forca in alternativa alla vanga tradizionale) facilita una sua conservazione equilibrata.

Altra pratica derimente la sostanza organica è quello della CONCIMAZIONE MINERALE DI SINTESI

Questa pratica, che è divenuta ordinaria con l’agricoltura industriale sta rendendo i nostri terreni sempre più dipendenti da concimi di sintesi. In particolare, i concimi azotati, la fissazione industriale dell’azoto atmosferico fu un elemento centrale della Rivoluzione Verde, tendono ad assuefare letteralmente alcune categorie di batteri del suolo. L’azoto è un elemento centrale per la nutrizione delle piante in quanto è componente principale dei tessuti e influisce sul rigoglio vegetativo. L’utilizzo di concimi minerali azotati di sintesi tende a spostare l’interesse dei batteri nitrificanti del suolo verso l’aggressione di questi concimi piuttosto che trasformare e aggredire la sostanza organica. Questo nel lungo periodo rende il suolo sempre più povero di attività microbica quindi incapace di dare origine a nuovo humus. E’ importante allora limitare se non fare a meno di utilizzare concimi di sintesi favorendo invece concimazioni organiche più consone alle esigenze del microbiota del terreno.

Non da meno ovviamente l’utilizzo di PESTICIDI, FUNGICIDI E ERBICIDI

L’utilizzo massiccio di queste sostanze può portare ad una loro dispersione nel suolo provocando effetti collaterali per la microfauna e microflora del terreno che vengono letteralmente avvelenati. Questa condizione comporta una riduzione della biodiversità complessiva quindi una riduzione del fondamentale lavoro per la trasformazione del materiale organico in sostanza organica stabile.

Evitare la MONOCOLTURA

Per monocoltura si intende la ripetizione per più anni della coltivazione di un’unica specie sullo stesso appezzamento. Questo nel tempo comporta un utilizzo continuativo degli stessi elementi nutrizionali da parte delle piante quindi un progressivo impoverimento della fertilità del suolo. Oltretutto i residui colturali non vengono ad essere diversificati e questo genera una povertà nella diversità di materiale organico di partenza che arriva al terreno. Per mantenere un suolo sano ed in salute è necessario diversificare nello spazio e nel tempo quello che andremo a coltivare favorendo le policolture.

COSA FARE

In questa fase cercheremo invece di conoscere alcuni parametri da tenere in considerazione per orientarci su come sviluppare le pratiche agronomiche più funzionali in questo senso.

Il primo di cui si può approfondire è il RAPPORTO CARBONIO/AZOTO (C/N).

Questo parametro ci serve per conoscere la velocità di degradazione di una determinata materia organica quindi la sua stabilità. Se il rapporto fornisce un valore elevato vuol dire che avremo tanto carbonio e poco azoto; in queste condizioni la degradazione avviene a rilento e anzi si possono verificare carenze di azoto nel terreno in quanto i microrganismi lo consumano per degradare il carbonio sottraendolo alle piante. Solitamente questa è la condizione di materia organica con molta sostanza secca rispetto all’umidità. Viceversa, un rapporto basso rileverebbe una troppo rapida degradazione della materia organica (materia fresca e umida), quindi senza la possibilità che si formi humus stabile. Come valore di riferimento possiamo prendere quello dell’humus che si aggira attorno a 10-12 (solitamente 50 di carbonio e 5 di azoto) ma anche valori attorno a 20-30 sono utili (rapporto C/N del compost).

Rapporto C/N di alcuni materiali organici più utilizzati

Materiali OrganiciRapporto C/N
Letame maturo23
Letame mediamente maturo30-40
Letame paglioso40-60
Erba di leguminose15-20
Paglia di cereali80-100

Se il nostro obiettivo è quello di aumentare il quantitativo di sostanza organica nel terreno, quindi della possibilità che si formi humus stabile, un altro parametro di interesse è quello del COEFFICIENTE ISOUMICO che fornisce un’indicazione della quantità di humus che si viene a formare a partire da un certo quantitativo di materia organica di partenza (in forma di sostanza secca).

Coefficienti isoumici di alcuni residui colturali e materiali organici

ResiduiCoefficiente isoumico
Residui di cereali0,1-0,15
Residui di prati0,2-0,3
Sovesci freschi0,04
Sovescio maturo0,20
Letame paglioso fresco0,20 – 0,30
Letame maturo0,40-0,50

Esempio: prendendo in considerazione la produzione di humus a partire da letame maturo, sapendo che la sostanza secca è circa il 20% del peso totale e che il proprio coeff. Isoumico è pari a 0,45 avremo che ogni 4 kg di materiale distribuito su un mq porteranno alla produzione di circa 360 g di humus per metro quadro.

A questo punto è necessario capire con quali pratiche possiamo operare tenendo in considerazione dei parametri descritti sopra.

La FERTILIZZAZIONE ORGANICA

E’ certamente la pratica più immediata per raggiungere questo obiettivo. La fertilizzazione organica si può operare con diversi elementi come letame, pollina, compost, paglia, cippato, foglie, sfalci anche miscelati tra loro. Anzi è importante mischiare assieme vari materiali per garantire un buon equilibrio tra il carbonio (es. foglie e paglia) e l’azoto (es. il letame). Grosso modo si può considerare valida una “sbadilata” di letame, ogni 4-5 “sbadilate” di paglia o cippato. Per quanto riguarda il letame si possono scegliere diverse qualità (equino, vaccino, pecora ecc). Tendenzialmente il letame equino è quello più indicato per l’orto per le medie caratteristiche fisiche e nutrizionali.

Esempio di caratteristiche del letame di cavallo: ogni tonnellata di letame di cavallo contiene circa 6,7 kg di azoto, 2,3 di fosforo e 7,2 di potassio, quindi proporzionato alle dimensione di un orto apporteremo 67g di N, 23g di P e 72g di K ogni 10 kg di letame equino utilizzato (ovviamente non tutta questa quantità sarà biodisponibile per le piante).

Anche il compost rappresenta un validissimo alleato per garantire la fertilità del suolo ed è un ammendante già completo. Il suo titolo, quindi la % di elementi nutritivi sulla massa, ovviamente è molto variabile in funzione del materiale di partenza con cui è stato ottenuto: 1,5/2,3 di N – 0,7/1,3 di P – 1,4 di K. Di questo potremmo parlarne meglio in un approfondimento specifico insieme agli elementi della nutrizione vegetale.

I momenti più indicati per effettuare la fertilizzazione organica sono quelli di fine dell’estate/inizio autunno (prima delle piogge), oppure a inizio primavera se non troppo piovosa.

Il SOVESCIO

Altra pratica fondamentale per arricchire la fertilità del suolo. Prevede la semina di un mix di essenze vegetali oppure specie selezionate che solitamente comprende leguminose, brassicace, composite e altri fiori selvatici che hanno la capacità di fornire azoto al terreno, struttura attraverso le radici o sostanze particolari per l’eliminazione dei patogeni oltre che a garantire il servizio ecosistemico dell’impollinazione. Una volta cresciuto, il sovescio viene sfalciato e lasciato sul terreno a decomporre. Solitamente si indica di interrare lo sfalcio ma questa pratica non farebbe altro che creare problemi di anaerobiosi e perdere sostanza organica. Per le leguminose tendenzialmente lo sfalcio avviene durante l’epoca di fioritura perché in questo modo apportano più azoto nel terreno. In generale però se l’obiettivo è di creare humus stabile per il suolo, meglio sfalciare quando le essenze non sono più verdi. E’ possibile seminare il sovescio in autunno prima dell’inizio dell’inverno oppure poco prima dell’inizio della primavera.

La COPERTURA DEL SUOLO

L’obiettivo di questa pratica è quello di garantire una costante copertura del suolo coltivato attraverso pacciamatura che può essere caratterizzata da materiale vegetale in decomposizione come foglie, compost, fieno o paglia oppure può essere una pacciamatura viva come un sovescio o una consociazione colturale. L’importante è proteggere il suolo dagli agenti atmosferici (acqua e vento) che potrebbero eroderne gli strati superficiali allontanando la sostanza organica. Oltretutto una copertura costante del suolo garantisce anche un suo nutrimento costante. Inoltre, coltivare vicino a siepi o alberi quindi creando una sorta di “effetto bosco” aiuta enormemente il terreno in quanto protetto e concimato naturalmente.

Ecco allora qualche linea guida, sicuramente non esaustiva, di come poter rendere i terreni che ci sorreggono sia fisicamente che dal punto di vista alimentare più sani e ricchi quindi più resilienti. Una comunità è fortemente dipendente dalla salute del suolo che la nutre pertanto come umanità tutta dovremmo prendere in carico questo obiettivo di prendercene cura anche per la nostra stessa sopravvivenza.

Cominciamo ognuno dal proprio orto!

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