Resilienza Silenziosa
Negli approfondimenti precedenti, abbiamo più volte sottolineato come sia importante tornare ad una lettura agroecologica del campo coltivato, considerandolo quindi in ogni sua componente e nelle relazioni che vi intercorrono. Prima, però, di analizzare cosa succede dentro ad un agroecosistema è bene indagarne la struttura e le differenze rispetto ad un ecosistema naturale.
Un ecosistema è definibile come l’ambiente caratterizzato da un insieme di componenti, tra loro in relazione e che vanno a costituire un’unità. Esso comprende la biocenosi rappresentata dalle forme viventi e il biotopo, ovvero gli elementi inorganici che condizionano la diversificazione dei differenti habitat. Queste due componenti fondanti sono tra loro interessate da continui scambi energetici e dal ciclo della materia.
La fonte energetica primaria è quella solare, che viene intercettata dagli organismi autotrofi e trasformata in materia organica. Questa è quindi soggetta ad una trasformazione da parte dei soggetti successivi all’interno della rete alimentare, per poi inserirsi nella catena del detrito, ad opera degli organismi decompositori, subendo i conclusivi processi respirativi. In questo processo, si ottengono energia metabolica ed elementi inorganici (mineralizzazione). Il flusso energetico è definito dal primo e dal secondo principio della termodinamica, secondo cui l’energia subisce continuamente delle trasformazioni e parte di essa, viene dissipata sotto forma di calore. La velocità con cui fluisce l’energia all’interno dell’ecosistema definisce il verificarsi delle successioni ecologiche, ovvero le trasformazioni prima dell’arrivo allo stadio di climax.
I differenti ambienti e aree naturali, definiti dai cambiamenti nella struttura fisica e biologica delle comunità che ne fanno parte, vanno a costituire le cosiddette ‘patchs’, ovvero le “tessere del mosaico” che compongono il paesaggio. Questi elementi, se collegati tra loro, costituiscono i corridoi ecologici o ecotoni, i quali garantiscono gli spostamenti di materia, energia e di organismi.
Facile notare come in un contesto naturale, tali elementi siano rappresentati da una forte disomogeneità ed irregolarità, leggibile attraverso le linee di confine ricurve, cosa che invece non accade nell’osservazione degli agroecosistemi dove queste connotazioni appaiono rettilinee e geometriche.
Questi sono soggetti all’intervento antropico che li modella secondo la necessità incombente, e risultano pertanto più regolari. Rispetto agli ecosistemi naturali, questa non è l’unica differenza: mentre in un ecosistema, l’unica fonte energetica è la luce solare, l’agroecosistema è soggetto all’apporto di un notevole quantitativo di input esterni, quali fertilizzanti, concimi, miglioramento genetico, forza lavoro o forza motrice. I cicli della materia non trovano conclusione in quanto asportando il prodotto agricolo, non si verifica un ricircolo della materia. Ovviamente queste differenze sono più o meno visibili in base al tipologia di pratiche agricole perseguite.
Un agroecosistema fortemente antropizzato è molto dipendente dall’apporto di input esterni oltre ad essere molto geometrico e semplificato. Al contrario, una condizione produttiva più vicina al rispetto della fertilità del suolo ed alla conservazione della biodiversità risulterà maggiormente integrata nel paesaggio naturale, oltre ad avere un utilizzo più efficiente della radiazione solare e nel rispetto della chiusura dei cicli degli elementi.
In termini di biomassa prodotta, l’ecosistema naturale è molto più efficiente, facendo affidamento esclusivamente sull’energia solare (ca 1367 W/m2).
La produttività, può essere intesa come la produzione di biomassa ad un certo livello della catena alimentare, in una determinata area, in un determinato momento (Kg o J o kcal/unità di area o volume/unità di tempo).
Distinguiamo una produttività primaria interessata dagli organismi produttori e da una secondaria relativa ai consumatori. La produttività primaria, può essere lorda (PPL) se si considera tutta l’energia fissata dalla fotosintesi o netta (PPL-R), se vengono conteggiate le perdite per respirazione da parte delle piante. Il rapporto PPL/R definisce la maturità dell’ecosistema (PPL/R=1, ecosistema in climax quindi in equilibrio perchè la produttività eguaglia i consumi). Esistono poi altri indici come la produttività netta della comunità (PNC) e la produttività secondaria (PS) relativa all’energia immagazzinata dai consumatori.
E’ facile che in un agroecosistema poco equilibrato, la PPL sia inferiore a R, provocando pericolosi scompensi. Tali quantitativi, vanno a definire la “capacità di carico” del sistema, intesa come la capacità dello stesso di fornire un sostentamento sufficiente ad ogni livello della rete trofica.
Mentre in un ecosistema naturale, la biomassa prodotta è rappresentata da tutti gli elementi viventi, in un agroecosistema, questa è limitata ai residui colturali a seguito dell’esportazione di parte del prodotto per l’alimentazione umana o animale. In quest’ultimo caso, abbiamo però parte dell’energia metabolica di trasformazione che torna nel sistema sottoforma di deiezioni.
In definitiva, per mantenere un agroecosistema produttivo ma allo stesso tempo in equilibrio, è importante seguire lo schema definito dagli ambienti naturali: ridurre gli input esterni efficientando quanto già presente, chiudere il ciclo degli elementi e incrementare la biomassa favorendo la biodiversità.
Per approfondimenti:
-Smith T.M. (2013). Elementi di Ecologia, ottava edizione, Milano-Torino, Pearson Italia
-Odum H.T. (1983), Systems Ecology: an Introduction
-Altieri M.A., Nicholls C.L., Ponti P. (2015). Agroecologia: Una via percorribile per un pianeta in crisi, Milano, Edagricole
-M.Ferrari, E.Marconi, A. Menta, M. MArconi, G. Ferrari, F. Zanichelli (2001). Ecologia del Paesaggio ed Ecologia Applicata, Edagricole