Gli OGM e la follia del “Determinismo Genetico”

Ci risiamo…nonostante più e più volte la voce del nostro paese abbia dissentito, rispetto la coltivazione di colture geneticamente modificate, rappresentanti politici continuano imperterriti a sostenere una linea che non potrà mai avere futuro. E’ quello che si è verificato pochi giorni fa a Bruxelles, dove il voto del nostro paese a favore del rinnovo per le autorizzazioni di alcune colture di mais GM, è stato sostenuto dalla Ministra Lorenzin. Un segnale da non sottovalutare, in vista anche della fusione tra i due colossi dell’agrochimica Bayer e Monsanto, occasione per quest’ultima di insediarsi più efficacemente in territorio europeo.

Ancora una volta, il pensiero riduzionista continua ad essere prevalente rispetto alla consapevolezza che la natura è Diversificazione ed Imprevedibilità e che le biotecnologie come sono oggi strutturate, sono già primitive.

Da sempre ci hanno inculcato l’idea, che ogni essere vivente non è altro che l’espressione del proprio genoma e quindi non è altro che il frutto di una serie di enzimi e proteine generate da una sequenza di nucleotidi del nostro DNA, che chiamiamo Geni. Questa corrente di pensiero, prende il nome di “Determinismo Genetico” e pone le basi concettuali per l’applicazione dell’Ingegneria Genetica. Tale tecnologia, prevede l’estrazione di una particolare sequenza di nucleotidi che esprime una particolare caratteristica, da un determinato essere vivente e la inserisce all’interno del genoma di un altro essere vivente nella speranza (e aggiungerei stoltezza), di ottenere in quest’ultimo le medesime caratteristiche. In questo modo, risulta possibile superare le barriere biologiche imposte dalla natura, permettendo all’uomo di “incrociare” le caratteristiche di forme di vita molto lontane dal punto di vista evolutivo. E’ il classico esempio del mais BT, in cui è stato inserito il gene di un microrganismo per sintetizzare una molecola tossica per alcuni lepidotteri, della soia roundup resistente, o del Golden Rice in cui è stato inserito il gene per la sintesi del beta-carotene (precursore della vitamina A).

In tutto ciò, purtroppo, non vengono mai prese in considerazione le reti metaboliche, che vengono a caratterizzare i processi cellulari, le quali possono manifestare un’influenza diretta sulla sintesi delle proteine. Le reti, oltre a stabilire la tipologia di proteina che verrà sintetizzata, ne definirà anche la funzione. La branca della biologia molecolare che si occupa dello studio di mutazioni e trasmissione dei caratteri non direttamente imputabili al DNA, prende il nome di Epigenetica. Le reti metaboliche e quindi tutte le sostanze che entrano a farne parte, esercitano come una regolazione a feedback, rispetto l’attivazione o meno di determinati geni, il che rende effettivamente imprevedibile ed insicura l’utilità delle operazioni di “taglia e cuci” delle sequenze di nucleotidi. Per riprendere le parole della biologa Evelyn Fox Keller “I geni non agiscono per conto loro: devono essere attivati” e questo spiega come a seguito della divisione cellulare e quindi della trasmissione del medesimo genoma alle cellule figlie, porti comunque ad una successiva differenziazione di tutta una serie di gruppi cellulari con funzioni e caratteristiche differenti (cellule muscolari, ematiche, nervose…). All’interno di tale processo, esercitano un forte peso anche le condizioni ambientali. Di fatto l’ingegneria genetica diviene uno strumento impreciso che può condurre anche a conseguenze nefaste, ma viene ad oggi enormemente elogiata soltanto a seguito di forti interessi economici. Per far meglio comprendere l’imprevedibilità nell’inserzione di determinati geni all’interno di un genoma estraneo, viene utilizzata la seguente analogia: “Immaginate una frase di senso compiuto e con una sua struttura logica. Poi immaginate la stessa frase con l’eliminazione o l’aggiunta di una o più lettere, addirittura intere parole o con la modificazione della punteggiatura. Capirete quanto è semplice cambiarne il significato”.

Sarebbe poi anche interessante disquisire le modalità di inserimento del materiale genetico estraneo. Molto spesso vengono utilizzati dei microrganismi o addirittura delle entità virali, che si sa avere un RNA di trasmissione molto instabile e reattivo.

Per ultimo, chi si occupa di ingegneria genetica poco sa di dinamiche ecologiche e poco si interroga circa le conseguenze dell’introduzione in un ecosistema di organismi, nel particolare, piante geneticamente modificate. L’impiego del masi BT, crea fortissime pressioni selettive nei confronti del lepidottero target (la piralide), oltre ad accumulare la tossina BT, all’interno delle reti trofiche del suolo con scompensi ecologici anche a livelli più alti della catena alimentare. Inoltre, sono una delle prime cause di perdita di biodiversità a causa della diffusione di polline transgenico quindi della diluizione genetica delle cultivar locali (come già è stato verificato in piante di mais a Oaxaca), oltre alla possibilità che si creino interazioni con specie selvatiche conferendo loro caratteristiche di resistenza alle pratiche di contenimento.

Ancor prima di proporre e successivamente criticare l’impiego di queste tecnologie in agricoltura, dovremmo cominciare a chiederci se servono per davvero. Come argomentato, allo stato attuale non servono a nulla, ma possono solamente provocare danni agli ecosistemi, con unici vantaggi economici alle compagnie. In secondo luogo il loro “funzionamento” ha una forte dipendenza dall’impiego di input esterni il che diventa un percorso di continuità della passata Rivoluzione Verde, i cui effetti e conseguenze sono oggi visibili da tutti.

E’ quanto mai impellente passare da una mentalità di stampo deterministico, ad una Teoria della Complessità per evitare di fare scelte errate ed irreversibili, cominciando a considerare veramente la natura come un’entità da imitare, piuttosto che come un bacino dal quale attingere risorse di ogni tipo.

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  1. Pingback: Dalla Rivoluzione Verde all’Agroecologia – ORTISTI DI STRADA

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