Resilienza Silenziosa
Dopo aver definito le motivazioni che ci hanno portato a sollevare i dubbi circa l’eticità e la sostenibilità del sistema agricolo occidentale, di seguito si approfondirà la storia che ha accompagnato la concretizzazione dell’agroecologia come pratica coevolutiva della civiltà umana rispetto al contestuale momento sociale che è andato affermandosi (per vedere l’articolo precedente, puoi cliccare qui).
Come già accennato, il pensiero agroecologico, si sviluppa a partire dall’inizio degli anni ’70, ma in realtà, la pratica è tanto antica quanto la nascita dell’ agricoltura. L’origine del termine, viene comunque attribuita all’agronomo russo Bensin, negli anni ’30. Si basa principalmente sull’adattamento di determinate pratiche agronomiche ad un particolare ambiente locale ed è fondata sull’utilizzo di risorse autoctone. Da sempre, queste pratiche si sono sviluppate di pari passo con la cultura e le credenze locali, alle volte miscelate anche a credenze spirituali e sciamaniche non proprio di carattere scientifico.
Basa le proprie convinzioni sull’osservazione e la comprensione delle relazioni e dei processi ecologici che interessano un particolare sistema. Pertanto, l’imitazione di ciò che accade in natura, è la pratica più importante: come un ecosistema naturale non produce rifiuti e la forma energetica principale è quella solare, così deve essere anche per l’agroecosistema. La cosa interessante è che vengono considerate anche le interazioni ecologiche e sociali, esterne quindi al mero campo coltivato.
E’ una scienza polivalente, che racchiude in sè le scienze agrarie, l’ecologia, la sociologia, l’antropologia e l’ambientalismo. Un suo primo sviluppo, può essere attribuito a Klages (un agronomo del Nord America) che tentò di portare l’attenzione rispetto ai fattori fisiologici e agronomici, quali elementi di adattamento e distribuzione di alcune specie coltivate. In seguito, oltre ai fattori fisiologici ed agronomici, incluse anche quelli storici, tecnologici e socio-economici. Per primo riconobbe l’importanza delle “abitudini agronomiche” a sistema con le caratteristiche ambientali come elementi determinanti nella selezione di ecotipi anche in relazione al contesto sociale.
Successivamente, Tischler negli anni ’60 integrò l’ecologia agraria nei curriculum di agronomia, portando a convergere le due materie nei primi anni ’70. Questa operazione rappresenta il primo tentativo per superare la forte settorializzazione di lettura delle scienze.
Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 le analisi agronomiche cominciano ad essere contestualizzate nel tessuto sociale, in particolare, all’interno degli studi sullo sviluppo rurale. Nello sviluppo dell’agroecologia, è stato fondamentale il contributo degli entomologi, in quanto sono stati i primi a trovare applicazioni ecologiche nella gestione degli artropodi dannosi. Infatti, il controllo degli artropodi diventa il “cavallo di battaglia” a dimostrazione che la complessità biologica all’interno dell’ecosistema offre un importante servizio ecosistemico nel mantenimento degli equilibri omeostatici con gli insetti dannosi.
Ad influenzare molto lo sviluppo dell’agroecologia è stato anche il pensiero ambientalista che, affermatosi negli anni ’60, pose attenzione alla prospettiva malthusiana e quindi all’impossibilità di sostenere una crescita demografica ed un consumo infiniti in un contesto in cui le risorse sono limitate. Infatti, secondo l’economista Thomas Malthus, mentre la curva di crescita dell’andamento demografico è esponenziale, quella della disponibilità delle risorse, è lineare definendo quindi importanti condizioni di squilibrio.
In particolare, in ambito agricolo, cominciarono ad essere denunciati gli effetti dell’uso di agrofarmaci grazie ad alcune opere come Primavera Silenziosa di Rachel Carson.
Infine, è stato fondamentale lo sviluppo della scienza ecologica e quindi degli interessanti spunti offerti dall’ecologo Odum alla fine degli anni ’60. I punti principali su cui si focalizzava erano relativi al ciclo degli elementi nutritivi, alle interazioni pianta-fitofago e alla successione ecologica. Le osservazioni ecologiche che più influirono sulla scienza agricola furono le interazioni tra la biodiversità e l’utilizzo dei nutrienti, l’importanza della struttura del suolo, i meccanismi relativi l’assorbimento di elementi nutritivi, le associazioni tra piante e microrganismi e la funzione della biomassa come serbatoio di nutrienti.
Un contributo importante è stato quello derivato da geografi ed antropologi attraverso la loro osservazione dei sistemi agricoli indigeni, quindi delle diverse forme di adattamento produttivo.
Ad oggi, si deve un importante riconoscimento per lo sviluppo della disciplina, all’agroecologo Miguel Altieri, dell’ESPM (Department of Environmental Science, Policy and Management) dell’Università di Berkley e presidente de “Latin American Scientific Society of Agroecology”.
In realtà, sono moltissimi i personaggi che oggi si battono in prima linea per favorire lo sviluppo di un’agricoltura di comunità. Impossibile non citare l’attivista indiana Vandana Shiva fondatrice di Navdanya International. Tutti ormai riconoscono il suo impegno nel contrasto allo sviluppo delle coltivazioni GM in India e quindi alle multinazionali ed al capitalismo globalizzato. Inoltre, Vandana Shiva è membro dell’associazione Slow Food il cui fondatore è l’Italiano Carlo Petrini.
Ricordiamo anche l’importante contributo dell’agroecologo francese Pierre Rabhi, fondatore della realtà del “Movimento del Colibrì” e autore di saggi come il “Manifesto per la Terra e per l’Uomo”.
Purtroppo, il pensiero agroecologico, non è coerente con l’approccio occidentale nell’analisi della realtà: l’agricoltura moderna è, oserei dire, schiava del metodo scientifico, improntato prevalentemente su valutazioni meccanicistiche ed atomiste, le quali tendono a discriminare i vari elementi senza riuscire ad ottenere una visione di insieme. Un esempio lampante è quello della difesa delle colture. Nel momento in cui viene notata la presenza di un organismo dannoso, non ci si interroga circa la ragione relativa alla comparsa di questa situazione, ma ci si concentra su di un possibile ed immediato mezzo per contrastarla. Come un fisiologo vegetale che indaga i meccanismi biochimici che interessano una foglia, perdendo però la consapevolezza della sua funzione. Pertanto, l’agroecologia fa presa su valutazioni di carattere olistico in cui le parti sono tra loro interconnesse; non è quindi possibile semplificare una condizione secondo il solo principio di causa effetto. La visione olistica, non si limita a considerazioni produttive, ma rileva anche le interconnessioni del tipo di agricoltura in coevoluzione con l’assetto sociale. E’ allora interessante notare come la tecnologia e le pratiche agricole moderne abbiano provocato un allontanamento dei processi sociali da quelli ecologici. Il capitalismo globalizzato ha infatti allungato le distanze tra i soggetti produttori e consumatori, favorendo la grande distribuzione, portando ad una omologazione degli stili di vita e nella struttura dei centri abitati.
E’ interessante analizzare anche come la ricerca non abbia effettivamente preso in seria considerazione le pratiche tradizionali, portatrici di anni di esperienza. Purtroppo la ricerca scientifica agraria, dall’elevato contenuto tecnologico, è prevalentemente centralizzata e relegata a ricercatori e prove parcellari in apposite istituzioni nazionali ed internazionali, che tendono a non considerare la diversità delle condizioni ambientali locali, senza che vi sia una seria collaborazione con le varie realtà agricole.
E’ su base di queste considerazioni che è importante testare tecniche agricole più rispettose dell’ambiente, delle persone e della vita nella sua più ampia concezione.
Il soggetto del prossimo approfondimento sarà l’agroecositema nelle sue componenti e caratteristiche, la cui corretta lettura è la chiave per una sua gestione sostenibile.
Per approfondimenti:
-Altieri M.A. (2002). Agroecology:the science of natural resource management for poor farmers in marginal environments, Agriculture, Ecosystems and Environment, 93:1-24.
-Carson R. (1962). Primavera Silenziosa, Feltrinelli, Milano Universale economica saggi.
-Huffaker C.B., Messenger P.S. (1976). Theory and practice of Biological Control. Academic Press, New York.
-Norgaard R.B. (1994). Development Betrayed: The End of Progress and a Coevolutionary Revisioning of the Future. Routledge, New York
-Fukuoka M. (1992). La Fattoria Biologica, seconda edizione, Roma, Edizioni Mediterranee.
-Rabhi P. (2008). Il Manifesto per la terra e per l’uomo, ADD Editore, 2011.
-Shiva V. (2005). Il bene comune della terra, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore,Universale Economica Feltrinelli.