Resilienza Silenziosa
Continuando il nostro percorso nella ricerca di pratiche agricole più sostenibili, ci siamo imbattuti nello studio dell’Agroecosistema, elemento base per la comprensione dell’Agroecologia. Dopo la sua struttura, vediamo di approfondirne le componenti: ambientali (biotopo) e viventi (biocenosi).
Biotopo – Terreno Agrario
Il terreno agrario è l’ambiente più rappresentativo dell’agroecosistema, in quanto è qui che avvengono i maggiori scambi di materia (acqua e nutrienti). Stiamo fondamentalmente parlando del terreno agrario ovvero di quel limitato strato della crosta terrestre, utile allo sviluppo delle piante. Il processo che dà origine a questa risorsa fondamentale per lo sviluppo della civiltà umana prende il nome di pedogenesi e prevede la costituzione del suolo a partire dalla roccia madre, attraverso tutta una serie di processi fisico – meccanici, chimici e biologici. Un terreno “naturale” è definito da un’elevata complessità, dovuta alla presenza di numerosi orizzonti (eluviale, illuviale, pedogenetico e roccia madre), mentre un terreno agrario subisce una forte semplificazione per opera delle operazioni agronomiche. Tale semplificazione porta alla riduzione in soli 2 strati: il suolo (strato attivo, che subisce le lavorazioni) ed il sottosuolo. L’insieme dei 2 strati, prende il nome di “profilo agronomico”.
Fa parte del biotopo anche il cosiddetto boundary layer, ovvero il punto di interfaccia pianta-atmosfera. A questo livello avvengono il contatto con la radiazione solare e gli scambi gassosi.
Biotopo – Energia
La fonte energetica fondamentale è quella solare. La capacità di utilizzazione di questa risorsa, dipende in gran modo dalla scelta colturale (piante a ciclo C3 o C4), dalla cv (cultivar), quindi dal LAI (leaf area index) e dalle pratiche agronomiche, in particolare la densità di semina. Un parametro di efficienza d’uso della luce solare è l’efficienza fotosintetica (ef) che si può intendere come il rapporto tra l’energia contenuta nella biomassa prodotta (Lso) e l’energia solare incidente (Li). Per le coltivazioni agrarie, il massimo teorico si aggira attorno al 15%, con valori effettivi attorno al 5-6%. Confrontando l’ ef di un agroecosistema con quello di un ambiente naturale, si riscontra che nel primo caso è più elevata l’ ef, vista la possibilità di intervenire agronomicamente, mentre nel secondo caso è massima la capacità di intercettare la luce solare a seguito della forte diversificazione e quindi di utilizzo dell’energia per diversi strati.
Leach (agronomo degli anni ’70) individua tre stadi caratteristici della mutazione dei livelli energetici ausiliari apportati all’agroecosistema: uno pre-industriale interessato fondamentalmente dal lavoro umano, uno semi-industriale con elevato apporto di lavoro umano ed animale e infine quello industriale caratterizzato dall’apporto di molti input, in particolare combustibili fossili. Comparando l’analisi di 7 differenti sistemi agricoli è stato individuato che il rapporto energetico, inteso come efficienza d’uso dell’energia, diminuisce incrementando la dipendenza dai combustibili fossili. Questo significa che nell’agricoltura industriale, l’energia ottenuta dalla produzione agricola è proporzionalmente di molto inferiore, rispetto quella investita.
Rapporti energetici su 3 diversi Sistemi agricoli a confronto (Fonte: Leach, 1976)
Biocenosi
Come più volte è stato riferito, un agroecosistema presenta un numero di specie e di individui inferiore rispetto ad un ecosistema tradizionale. E’ chiaro come questa semplificazione sia dovuta all’intervento dell’uomo nella scelta di specie di interesse agrario piuttosto che nelle specie spontanee. Per questo, vengono ad essere alterati anche i rapporti trofici (alimentari) all’interno dell’agroecosistema. In un ecosistema naturale, i livelli trofici possono essere molteplici, vista la forte diversificazione animale e vegetale che li caratterizza, mentre in un ambiente coltivato, sono fondamentalmente 3: le piante coltivate, gli animali allevati e l’uomo. Il primo livello, può essere paragonato ad una condizione tipica di un ecosistema giovane rappresentato da poche specie diverse ma con grandi quantità di individui. Il secondo livello, se presente, è rappresentato dagli animali allevati, i quali consentono di fornire una valorizzazione energetica del prodotto vegetale. C’è però da dire, che grazie a questa conversione è vero che si ottengono prodotti energeticamente più pregiati, però con un rendimento di solo il 10%. Infatti, in media, per la produzione di una kcal animale, ne sono richieste 10 vegetali con perdite energetiche del 90%. Nel 2006, un gruppo di ricercatori italiani hanno redatto uno studio finalizzato a comparare i differenti impatti ambientali (attraverso il metodo di analisi LCA), generati da diete differenti, rilevando che uno stile alimentare focalizzato sul consumo di prodotti vegetali è circa 10 volte meno impattante rispetto alla dieta tradizionalmente adottata in Italia. Questo è un valido motivo per considerare gli allevamenti intensivi attività assolutamente insostenibili. La presenza degli animali, diventa un elemento strategico in condizioni di terreni marginali che non sarebbero altrimenti in grado di fornire fonte di nutrimento diretta per l’uomo. Infine, l’uomo rappresenta la destinazione finale di gran parte della biomassa dell’agroecosistema.
A seconda di come questi livelli interagiscono, possiamo incorrere in differenti tipologie di agroecosistemi:
1) sistema chiuso con animali: è la condizione più auspicabile e più efficiente. Infatti, le materie prime derivano dallo stesso sistema e gli scarti vengono smaltiti dal sistema stesso
2) sistema vegetale: esistono solamente 2 livelli, ovvero le colture agrarie e l’uomo
3) allevamenti senza terra: è il meno efficiente e più deleterio per l’ambiente. L’agroecosistema è completamente dipendente da input esterni e non è in grado di smaltire i propri rifiuti, i quali verranno espulsi dal circuito con ingenti conseguenze ecologiche.
In realtà, esiste anche un altro elemento da considerare all’interno dei rapporti trofici, ovvero la possibile presenza di organismi competitori nei confronti degli elementi destinati alla produzione (malattie e insetti dannosi). E’ chiaro come questi elementi di disturbo, in realtà non sono altro che regolatori omoestatici delle relazioni ecologiche, diventando però un elemento da contrastare in agricoltura. Le relazioni ecologiche che si vengono a costruire sono tra le piante coltivate, tra piante coltivate e altri organismi della comunità e tra piante e organismi del suolo. Nel primo caso, i rapporti possono essere di estrema semplificazione o fondati sulla diversificazione. Infatti, possiamo avere condizioni di colture pure, colture consociate o policolture, colture avvicendate o in rotazione. Queste ultime, sono pratiche tipicamente utilizzate per una gestione agroecologica della produzione e verranno approfondite in seguito. E’ importante fare delle considerazioni relativamente ai rapporti che intercorrono tra le piante coltivate e le erbe infestanti, generalmente piante autoctone che entrano in competizione per l’utilizzo di risorse. Questa può essere di natura diretta, se interessa acqua, spazio e nutrienti o indiretta se provocata dall’essudazione di sostanze allelopatiche (inter o intraspecifiche). Le sostanze allelopatiche sono prodotti del metabolismo secondario, il cui compito è quello di respingere dei competitori (interazione negativa), oppure facilitare lo sviluppo di altri organismi (interazione positiva).
Le malerbe sono spesso eliminate con dosi massicce di sostanze erbicide, ma in una visione agroecologica occorre tenere conto anche della funzione ecologica della vegetazione spontanea. La vegetazione spontanea è un importante elemento attenuante dei fenomeni erosivi, viene utilizzata come vegetazione per corridoi ecologici e fonte di nutrimento dagli organismi utili e mantiene elevata la produzione di biomassa dell’agroecosistema, consentendo il mantenimento in dotazione di sostanza organica. E’ altresì barriera per tutti quegli organismi dannosi impedendo a questi di trovare una certa continuità di infestazione. Lo sviluppo di tutto ciò che è presente sul suolo, dipende da una serie di processi che avvengono a livello radicale, processi che interessano una porzione di suolo denominata rizosfera. La rizosfera, si può definire come l’interfaccia tra il terreno e la radice. Protagonisti di ciò che accade a questo livello, sono i microrganismi che nutrendosi di essudati radicali e decomponendo la biomassa, rendono disponibili alle piante gli elementi nutritivi di cui necessitano. Esiste quindi una interdipendenza fondamentale per la sopravvivenza delle due parti. La microflora terricola è la responsabile della cosiddetta catena del detrito, senza la quale verrebbero ad essere alterati gli equilibri nutrizionali delle piante. Ecco perchè è fondamentale preservare e stimolare lo sviluppo di questi organismi, cosa che non sempre accade nell’agricoltura convenzionale, caratterizzata da profonde lavorazioni a cui conseguono forti alterazioni.
Per approfondimenti:
-Smith T.M. (2013). Elementi di Ecologia, ottava edizione, Milano-Torino, Pearson Italia
-Odum H.T. (1983), Systems Ecology: an Introduction
-Altieri M.A., Nicholls C.L., Ponti P. (2015). Agroecologia: Una via percorribile per un pianeta in crisi, Milano, Edagricole
-M.Ferrari, E.Marconi, A. Menta, M. MArconi, G. Ferrari, F. Zanichelli (2001). Ecologia del Paesaggio ed Ecologia Applicata, Edagricole